Sarà l'aurora

Il motivo per cui non compare - contrariamente a quanto di norma avviene – alcun carro in questa raffigurazione dell’Aurora è dovuto alla committenza del quadro. Fu infatti Niccolò Arrighetti, colto filosofo neoplatonico e discepolo di Galileo Galilei, a richiedere alla giovane Artemisia giunta a Firenze da Roma attorno al 1613, la rappresentazione di questo tema tanto caro alla tradizione iconografica.

E non stupisce quindi di trovarvi una attenzione tutta diversa al soggetto, inedita certamente e in linea invece con le più recenti scoperte del grande scienziato pisano che, nel 1619, aveva utilizzato per la prima volta il termine di “Aurora Borealis” nel suo Discorso sulle comete.

La pittrice raffigura dunque il soggetto non come una donna sul carro del sole, bensì come una figura accompagnata da un putto (in alto a sinistra nel quadro) che agita due fiaccole nel cielo, rischiarandolo appunto.

Ma ciò che stupisce di più, osservando il grande quadro (218 x 146 cm) è la postura teatrale della protagonista che ruba letteralmente la scena, facendo quasi passare inosservato il resto della composizione.

Un’eroina del melodramma, una diva che avanza senza incertezze sul proscenio, agitando le braccia e volgendosi all’indietro con gesto elegante e imperioso.

E aspettiamo silenti un suono, una frase cantata che accompagni la scena o la chiuda, mentre cala pesante il sipario.

Aurora, 1625 circa

Olio su tela, 218 x 146 cm

Collezione Alessandra Masu

L’Aurora coincide verosimilmente con la tela descritta in modo accurato da Filippo

Baldinucci nella Notizia dedicata ad Aurelio Lomi e ai Gentileschi, padre e figlia, in casa del gentiluomo fiorentino Giovanni Luigi Arrighetti. Attribuita dalla critica alla pittrice su base stilistica, la tela fu rinvenuta negli anni settanta del secolo scorso, presso un antiquario di Firenze, come autografo di Guido Reni.