Capitolo IV: In ascensore
Roma, 30 agosto 2017
“Scendete al piano terra?” Teresa spinse nuovamente il tasto “0” e aspettò che le porte si richiudessero, prima di dare una bella ‘squadrata’ ai due ragazzi appena entrati.
Troppo succinto il pantalone di lei, decisamente esagerati i tatuaggi sulle braccia di lui.
Teresa non ebbe dubbi: si trattava di due giovani capitati per caso al museo. Curiosa com’era – e anche un pochino perfida – si accingeva a chiedere loro un parere circa la visita appena conclusa, quando l’ascensore sobbalzò e con un momentaneo rapidissimo blackout di luce arrestò la sua corsa a metà strada.
“Questa non ci voleva” disse Attilio, per nulla preoccupato (si ricordava fin troppo bene il sibilo dei bombardamenti aerei, per provare paura o sgomento in quel frangente) ma un tantino scocciato dal fatto di dover restare chiuso - chissà per quanto tempo - in una scatola di metallo assieme a degli estranei.
Anna fece un urletto, presto soffocato nell’abbraccio consolatorio di Marco al quale non era affatto sfuggito il piglio vagamente snob delle due signore ingioiellate. Fu proprio lui a cercare lo “scontro”, ma più per divertimento che per vendetta:
“Bello il museo, vero? Sapete, io non ci volevo venire e invece devo proprio ricredermi. Aveva ragione la mia fidanzata, qui c’è da divertirsi imparando. E quante cose ho imparato oggi!” Così dicendo diede un’occhiata complice ad Anna che rispose con un sorriso.
“Hai ragione, giovanotto. Per me è stata un’emozione fortissima rivedere immagini di luoghi e di ricordi che ho vissuto ‘a colori’, quando ero appena un bambino” si affrettò a dire Attilio.
“Beh, insomma” bisbigliò alzando il sopracciglio Rosa “ci sono cose pregevoli ed altre molto, ma molto discutibili. Tutti quegli specchi, per esempio, decisamente eccessivi. E poi le foto di film e di personaggi assurdi, come i calciatori nello Stadio Olimpico: ma che cosa ci fanno in un museo storico come questo?”
“Forse a lei dicono poco, signora” replicò Anna “ma sappia che a noi giovani quelle immagini raccontano una storia e lo fanno con le parole che meglio comprendiamo. Ci dicono ad esempio che anche noi siamo parte di Roma e della sua storia, perché viviamo oggi le stesse emozioni che hanno vissuto intere generazioni prima di noi in questa città. Perché è Roma che si racconta e noi siamo solo di passaggio, come i tanti pellegrini e i viaggiatori di quel Tour di cui si parla nella prima sala….” Anna si girò repentina verso Marco, cercando in lui la risposta che non trovava: come si chiamava quel fenomeno descritto tanto bene all’inizio del percorso? Proprio non le veniva il nome.
“Grand Tour! Si dice Grand Tour, cara” la voce di Teresa suonò asciutta, ma non burbera. E subito l’ascensore riprese a scendere, portandoli sani e salvi al piano terra.
Quando si aprirono le porte, i visitatori in attesa sul pianerottolo videro uscire due eleganti signore, un arzillo vecchietto e due giovani fidanzatini ridere e salutarsi come fossero amici di una allegra comitiva.
Per tutti, anche se in modi diversi, l’esperienza al museo era certamente valsa il prezzo del biglietto.