Giuditta, la vedova scaltra
Ancora un appuntamento del ciclo Artemisia e le altre, domani alle 17:00, come sempre all’interno della mostra ospitata al primo piano di Palazzo Braschi.
E questa volta si parla di lei, Giuditta, l’Eroina per eccellenza, che l’iconografia ci ha consegnato come portatrice di una testa mozzata di uomo, dentro un cesto oppure un sacco intriso di sangue.
Sempre accompagnata dalla schiava Abra, in genere anziana e rugosa nel volto, ma anche giovane e bella almeno quanto lei.
Giuditta è una vedova che si trasforma in attraente donna, in grado di conquistare gli sguardi degli uomini, come dice la Bibbia (Giuditta 10, 3-4):” […] si tolse il sacco di cui era rivestita, depose le vesti di vedova, poi lavò con acqua il corpo e lo unse con profumo denso; spartì i capelli del capo e vi impose il diadema.
Poi si mise gli abiti da festa, che aveva usati quando era vivo suo marito Manàsse.
Si mise i sandali ai piedi, cinse le collane e infilò i braccialetti, gli anelli e gli orecchini e ogni altro ornamento che aveva e si rese molto affascinante agli sguardi di qualunque uomo che l'avesse vista.”
Dunque un inganno dell’apparenza rende possibile il compimento della Giustizia, giocando proprio sulla fragilità degli uomini e sulle false certezze di cui ci nutriamo. Poi c’è l’orgoglio e la protervia di Oloferne, feroce generale dell’esercito assiro, a completare il miracolo.
Il piano di Giuditta è semplice e spietato, come il taglio in due tempi della testa di Oloferne, riverso sul letto in preda al troppo vino bevuto a cena.
Pochi gesti, di straordinaria forza, accompagnano la grazia del corpo femminile e il suo incedere sicuro nell’allontanarsi dalla tenda del nemico.
Come hanno descritto i pittori una storia così densa di stimoli visivi e di significati nascosti? Quali elementi hanno scelto, tra i tanti a disposizione, per raccontare l’episodio biblico e comunicarne il messaggio profondo?
E a noi, Giuditta, cosa dice?