Tutti nel pallone
“Perché, perché la domenica mi lasci sempre sola?” cantava a voce spiegata Rita Pavone nel lontano 1963. E la risposta arrivava già alla strofa seguente, perché il ‘lui’ della situazione andava “a vedere la partita, di pallone”!
Altri tempi, signori miei, giacché ormai il tifo calcistico non è più appannaggio esclusivo dei maschi e sempre più donne riempiono gli stadi.
Ma il gioco del pallone non è stato sempre quello che tutti noi sappiamo, cioè giocato con i piedi e con la testa – ma a sentire i cultori del calcio, soprattutto con il cuore! – perché fino all’Ottocento il pallone era tutta un’altra storia.
Per prima cosa si giocava su pedane strette e lunghe, addossate ad alti muri di mattoni o di pietra, entro strutture per lo più private e annesse a residenze nobiliari, che venivano chiamate sferisteri.
Il ‘pallone’ in realtà era una sfera molto più piccola rispetto a quella del soccer (o football, che dir si voglia) e veniva lanciata a gran velocità dai giocatori mediante un bracciale di cuoio indossato fino al gomito. Si trattava insomma di un antenato del tennis o, meglio, del Padel Tennis, giovane disciplina sportiva importata dalla Spagna e già in cima a tutte le classifiche nel gradimento dei giovani.
Volete vedere di cosa stiamo parlando? Allora visitate la mostra di acquerelli di Thomas, al piano terra del Museo di Roma e troverete anche il gioco del pallone.
Per quello vero, invece, giocato in undici contro undici tra due grandi reti di oltre sette metri di larghezza, l’appuntamento è domenica sera alle 21:00. Rita Pavone lo sa.