Il talento di Francesco
Il nostro caro John Staples non lo sa, ma in fondo è un irlandese del Settecento e non gli si può chiedere tanto.
Non che il football sia estraneo alle tradizioni della sua verde isola, ma qui non si tratta tanto di sport o di agonismo, quanto piuttosto di senso di appartenenza e orgoglio di nascita.
Per questo John non ha compreso le parole di Ennio, portiere dello stabile di fronte a Palazzo Braschi, che gli parlava di un capitano storico della squadra della capitale e di un architetto un po’ matto e stravagante, ma anche lui geniale nelle soluzioni adottate e nelle meraviglie compiute a Roma. Li ha messi insieme Ennio, come fossero fratelli di latte, in barba ai secoli che li separano e alle diverse attitudini che ne hanno sancito la fama: un architetto del barocco e un calciatore.
La verità è che sia Totti sia Borromini si chiamano Francesco, sono nati lo stesso giorno (27 settembre) e hanno entrambi fatto miracoli a Roma.
Ma non è solo questo, ovviamente.
C’è un principio comune nell’azione dei due talenti, un quid significante della loro creatività che ci consente – a dispetto delle abissali distanze di tempo, ambiente e vocazione - di guardarli in parallelo, come due distinte rappresentazioni di un medesimo intento.
É sufficiente entrare in San Carlino alle Quattro Fontane o nell’invaso potente di Sant’Ivo alla Sapienza per comprendere Borromini, il senso dello spazio come organismo vivente che ci accoglie e ci consente di respirare, seguendo il ritmo del nostro incedere. Dentro le ‘sue’ architetture diventiamo noi i protagonisti dell’azione, perché funziona, tutto si allinea con il nostro battito cardiaco: come un utero che accoglie una vita.
Non pensiamo mai al nome dell’architetto, alla sua figura di geniale creatore: è il frutto della sua azione a commuoverci, la capacità di sciogliere i nodi e trovare le soluzioni migliori a convincerci.
E Totti, direte voi? Chi ha avuto la fortuna di vederlo giocare sa bene cosa significasse per la squadra entrare in campo con o senza di lui.
Lanci da trenta metri, assist geniali e tocchi di tacco improvvisi (cose da far girare la testa ai difensori) a propiziare gol altrimenti impossibili, oltre che imprevedibili. Quanti miracoli ha compiuto questo talento calcistico? E senza mai accendere su di sé i riflettori, a differenza di quanto di norma succede con i numeri 10, le (vere) star del football, quelle per intenderci destinate a vincere il ‘pallone d’oro’.
Ecco, Totti sta ai numeri 10 del calcio, come Borromini sta ai grandi artisti del barocco.
Entrambi hanno risolto problemi impossibili, restando dietro le quinte; hanno usato linguaggi originali e non di rado stravaganti, cambiando la storia delle reciproche discipline. Ci hanno insegnato che il talento, quando è autentico, non ha territorio e può svelarsi nelle forme più varie. Anche in un ‘cucchiaio’.