A pelo dell’acqua
C’è un’altra Roma oltre quella delle piazze e delle basiliche, degli obelischi e delle fontane monumentali. Una città più silenziosa e meno caotica, che scorre lenta tra due alte pareti continue, interrotte soltanto dalle arcate dei ponti. Chi ha visto La grande bellezza di Paolo Sorrentino e ricorda le sequenze finali con i titoli di coda, sa esattamente di cosa stiamo parlando.
Roma e il suo fiume sono un binomio inscindibile, ma i romani di oggi non conoscono certo il Tevere quanto i loro nonni o antenati.
La Sala 19 del Museo racconta la storia di un cambiamento radicale e profondo, definitivo per quanto riguarda il rapporto del fiume con la città, reciso per sempre dalla costruzione dei muraglioni di contenimento, misura indispensabile per preservare la nuova Capitale del Regno d’Italia dalle continue inondazioni.
Il nostro viaggio a pelo dell’acqua inizia con l’argenteo Mattino a ponte Sisto di Francesco Trombadori, scivolando con lo sguardo tra le forme metafisiche delle vedute di Antonio Donghi e di Amedeo Bocchi, per fermarsi poi sul bordo della banchina arrangiata con poche assi di legno per consentire ai bambini di tuffarsi, nel quadro di Domenico Quattrociocchi.
È un “Tevere incatenato”, reso docile e innocuo, la cui superficie appare immota e silenziosa, tanto da far sbiadire il ricordo delle esondazioni che minacciavano costantemente la città. Per secoli le case lungo il fiume hanno segnato il volto di una Roma meno monumentale, forse, ma altrettanto viva e perfino più importante se si considerano i due porti fluviali ora scomparsi: Ripetta e Ripa Grande. Di quest’ultimo, scendendo al secondo piano e andando nella Sala 4, potete avete una splendida veduta nel quadro di Paolo Anesi. La tartana da pesca in primo piano apre lo sguardo verso il fondo, dove la lunga facciata dell’Ospizio di San Michele fa da quinta prospettica al molo d’attracco delle grandi navi provenienti da Fiumicino.
Paolo Anesi (1697-1773)
Domenico Quattrociocchi (Bagheria, Palermo, 1874-1941)