La luce di Caffi
Perfino la Natura si piega alla bellezza di Roma. Accade così che un candido cirro venato di rosa si conformi al rudere di Tor de’ Schiavi, in un gioco di rimandi curioso che non sfugge all’occhio del visitatore.
Siamo nella Sala 3 e il quadro di Ippolito Caffi descrive la Festa degli artisti che appunto si teneva ogni anno in quell’area suburbana lungo la via Prenestina, oggi invasa dal cemento dell’edilizia intensiva. Quel rosa che avvolge la scena è la luce di un cielo che soltanto Roma sa regalare, ma che trova in Caffi il suo più alto interprete.
Uno straniero, nativo di Belluno, ammaliato dal fascino della Città Eterna e dal sogno di un’Italia unita, come molti altri artisti della sua generazione votati agli ideali risorgimentali.
Le sue vedute di Roma (Sale 3 e 4) sono una carezza che sfiora la superficie dei tetti e le rovine degli acquedotti classici, come un velo di cipria a coprire la pelle di una donna amata, di cui si voglia preservare la bellezza per sempre. Un sentimento profondo che ci commuove e che stupisce per l’esattezza dei dettagli, raggiunta grazie all’utilizzo delle prime immagini fotografiche che il pittore, amico del fotografo Giacomo Caneva, certamente conosceva.
Ippolito Caffi (Belluno 1809 – Lissa 1866)
Ippolito Caffi (Belluno 1809 – Lissa 1866)