Il Colosseo visto dall'alto, 1855, olio su carta applicata su tela
Fervente patriota, Caffi lasciò Roma nel 1848 per accorrere alla difesa di Venezia che era insorta contro gli austriaci. Segnato nella lista dei quaranta proscritti dall’Austria, insieme a Nicolò Tommaseo e Daniele Manin, soggiornò prima a Genova e poi a Torino e a Nizza stabilendosi a Parigi nel 1854, dopo un viaggio in Inghilterra e in Spagna.
Quando, nell’agosto del 1855, Caffi ritornò a Roma, la stampa lo accolse trionfalmente, nonostante i suoi trascorsi rivoluzionari. Il primo quadro di questa sua seconda stagione romana è Il Colosseo visto dall’alto, firmato e datato 15 dicembre 1855, che sarà esposto insieme ad altre opere di soggetto parigino, orientale, veneziano e romano, all’Esposizione degli Amatori e Cultori di Belle Arti del 1856.
Il “Giornale di Roma” dedicò all’artista per l’occasione un numero speciale intitolato “Recenti pitture di Ippolito Caffi” scritto da Giuseppe Checchetelli che nota , tra l’altro : “del che (progresso ndr.) ciascuno di leggieri porterà giudizio se metta l’occhio nelle recenti pitture di lui. Primariamente in quel Colosseo, ritratto dall’ultimo ripiano, onde un’ scorge tutta l’interna forma dell’ultimo ordine di archi dell’arena. Niuno sinora, che noi sappiamo, ci diede a vedere da questo punto l’anfiteatro nel suo insieme. Sta in mezzo a spazioso campo nel cui fondo ravvisi la Villa Mattei, il Palazzo de’ Cesari, la Piramide di Cestio” (Checchetelli, 1856).
L’entusiasmo mostrato dal Checchetelli nella descrizione della pittura è ampiamente giustificato dal suggestivo effetto raggiunto dal pittore nel rendere efficacemente l’inusuale prospettiva dall’alto dell’Anfiteatro Flavio che lascia la possibilità allo sguardo di spaziare, oltre l’arena illuminata dalla calda luminosità della tavolozza impiegata, in un ampio panorama di Roma, appena velato da una leggera foschia, che dal profilo di Santo Stefano Rotondo, attraversa il Celio con San Gregorio, la Piramide di Caio Cestio fino al Palatino con le rovine dei palazzi imperiali e la chiesa di San Bonaventura.
L’interno del monumento, insieme allo studio di una luminosità naturale, dove si alternano le zone d’ombra a quelle assolate, rivela un attenzione al vero nei particolari delle edicole per la Via Crucis e della croce, entrambe edificate per volere papale quando il Colosseo venne consacrato alla Passione di Cristo.
Eppure l’originalità della pittura, superiore a molte della numerosissima serie di vedute del Colosseo, ritratto più volte da Caffi nelle diverse ore del giorno, finanche di notte illuminato dai fuochi del bengala, potrà essere in parte ridimensionata confrontando il taglio compositivo del quadro con quanto veniva contemporaneamente prodotto in ambito fotografico e, in particolare, con l’immagine del “pittore-fotografo” padovano Giacomo Caneva , Veduta parziale del Colosseo visto dall’alto, del 1851 (Cfr. L’immagine di Roma 1848 –1895, Catalogo della Collezione Becchetti, a cura di S. Romano, Electa, Napoli, 1994, n°3). Dell’opera, proveniente dalla collezione di Giuseppe Avon Caffi, esistono una replica quasi identica, ma di dimensioni maggiori, nella collezione del Museo d’Arte moderna di Ca’ Pesaro a Venezia (Cfr. Catalogo della mostra Ippolito Caffi, 1809 – 1866, a cura di G. Perocco, Ca’ Pesaro, Venezia, aprile 1979, n° 21.) e due disegni preparatori (48x116 e 44 x 93), entrambi firmati, con iscrizioni che recitano rispettivamente: “Il Colosseo di Roma disegnato dal vero nel 1855” e “Veduta interna del Colosseo tratta dal vero 1855” (cfr. Vedute romane di Ippolito Caffi, 1959).
Federica Pirani