L’estetica del tatto
Roma, 13 febbraio 2019
“Mi trovavo nel sotterraneo buio di una trincea a Gorizia, nel 1917, quando
per la prima volta iniziai a toccare gli oggetti intorno a me, sforzandomi di riconoscerli”
(F.T. Marinetti)
Eh già, toccarsi fra sconosciuti può essere offensivo. Ci affrettiamo a chiedere scusa se, accalcati in un autobus, ci sfioriamo inavvertitamente; subito azionando meccanismi di difesa, come guardare distrattamente nel vuoto o fingere indifferenza.
Ma esiste una vera e propria “estetica del tatto”, un linguaggio tattile che traduce in godimento estetico la percezione epidermica e la restituzione dimensionale di ciò che non possiamo vedere.
Ne parla Aldo Grassini, Presidente del Museo Statale Tattile Omero di Ancona, nel suo libro Per un’estetica della tattilità (Armando editore, 2015) in cui rivendica il diritto di toccare le opere all’interno di un Museo.
L’argomento è ancora tabù per molti e certamente comporta un’attenta analisi dei materiali e dei potenziali rischi legati al contatto ripetuto delle mani su alcuni manufatti artistici. Ma il bronzo o il marmo, il legno o la terracotta, non sono forse stati pensati come medium di una restituzione tridimensionale di un’idea e, come tali, fruibili non soltanto con un colpo d’occhio, veloce ma settoriale e del tutto inefficace a raccontare la pienezza dell’oggetto?
Sarà giunto il momento di ripensare alcune pratiche di fruizione del nostro Patrimonio. Di valutare di volta in volta l’opportunità delle scelte curatoriali e di offrire al pubblico nuove possibilità di accesso alle collezioni di statue e di rilievi. Perché i confini della nostra percezione possono e devono ampliarsi di fronte a opere realizzate per essere comprese tattilmente e non soltanto visivamente.